"Olea prima omnium arborum est"

Scriveva Tucidide nel V secolo a.C.: “quando impararono a coltivare l’olivo e la vite, i popoli del Mediterraneo cominciarono ad uscire dalla barbarie”.

La storia dell’olivo è vecchia quanto la civiltà mediterranea. Quasi 6000 anni fa, le comunità di agricoltori che occupavano le regioni litoranee del Mediterraneo Orientale, sull’attuale costa siro-palestinese, iniziarono a selezionarne le varietà e scoprirono che era possibile ricavarne un liquido denso ed oleoso, utile per la cosmetica, di sapore aromatico e gradevole, che poteva facilmente essere usato come combustibile.

A Babilonia, nel 2500 a.c., il codice di Hammurabi regolava la produzione ed il commercio dell’olio di oliva. Intorno al 2300 a.C., gli Egizi ornavano le tombe dei faraoni con rami d’olivo, simbolo di vita e di fecondità.

In tutta la Palestina le popolazioni erano dedite all’olivicoltura, in particolar modo la tribù dei Filistei. Nella cultura ebraica, l’olio d’oliva viene usato per santificare e consacrare l’Arca dell’Alleanza, gli arredi di culto ed i sacerdoti.

Nella Bibbia è evidente il riferimento alla colomba liberata da Noè, che tornò all’arca con un ramoscello d’olivo nel becco, simbolo della fine del diluvio ed inizio di una nuova vita.

Nella cultura araba pre e post-islamica, l’olio è onnipresente nelle ricette di cucina dei cuochi più rinomati e ricercati, come l’andaluso Ibn Khalsun (fine XIII secolo), che consiglia di consumare il misterioso murri o naqi (una sorta di condimento derivante dalla macerazione e fermentazione dell’orzo) “insieme con il grasso o l’olio di oliva“.

La sempre maggiore richiesta di olio e di vino in Mesopotamia, Egitto ed Anatolia, favorì lo sviluppo e la prosperità delle zone costiere mediterranee e grazie ai Fenici la pianta dell’olivo approda nella maggior parte dei paesi del Mediterraneo.vaso_olio

La mitologia greca attribuisce ad Atena, dea della guerra, figlia di Giove, la creazione dell’ulivo. Scelta da Cecrope per dare un nome alla città da lui stesso fondata, Atena fece nascere dalla terra una pianta, dai rami nodosi e contorti, con piccoli frutti polposi, il cui succo avrebbe dato agli uomini luce e nutrimento: l’ulivo. Cecrope ed i suoi decisero senz’altro di accettare questo dono: scelsero cioè Atena come loro dea protrettrice e dal suo nome decisero di chiamare Atene la loro città, che divenne il più luminoso centro di civiltà del mondo antico.

I Romani classificavano l’olio di oliva in cinque qualità:

oleum ex albis ulivis: era l’olio più pregiato, soprattutto per l’intenso sapore di oliva, ottenuto da olive ad invaiatura gialla, cioè con colore dei frutti dal verde al verde chiaro;

oleum viride strictìvum: ottenuto in dicembre-gennaio da olive invaiate, veniva utilizzato per ungersi il corpo;

oleum maturum: ottenuto da olive nere;

oleum caducum: proveniente da olive cadute a terra;

oleum cibarium: ottenuto da olive bacate, o molto imbrattate di terra, oppure tenute ammucchiate per molti giorni. Questo olio era destinato agli schiavi.

Numerose opere latine di agronomia, scritte a partire dal II° secolo a.C. da numerosi autori, indicavano ai proprietari terrieri le migliori forme di coltivazione da adottare nei loro possedimenti e tutti gli opportuni accorgimenti nelle pratiche di potatura, concimazione, raccolta e lavorazione delle olive. Per lo storico Plinio, l’Italia della prima metà del I secolo d.C. “possedeva tanto ottimo olio di poco prezzo da superare tutti gli altri paesi” e Giunio Moderato Columella asseriva nel suo “De re rustica” che “Olea prima omniun arborum est“, ovvero che, fra tutti gli alberi, il primo posto spetta all’ulivo.

Dopo un lungo periodo di declino, dovuto alla caduta dell’impero romano e alle invasioni barbariche, la coltura dell’olivo, sopravvissuta nei monasteri, riacquista un posto preminente dal dodicesimo secolo, quando l’olio torna protagonista dei commerci, contribuendo alla fortuna dei diversi Stati.

In Romagna, la presenza dell’olivo può dirsi continuativa fin dall’età villanoviana. Il forte radicamento dell’olivo in questo territorio è testimoniato dalla sua persistente presenza anche nella difficile fase storica che vede la caduta dell’impero romano, il dispiegarsi delle invasioni barbariche, la crisi dell’assetto agricolo.

A testimonianza della grande importanza che l’ulivo ricopriva nel territorio, gli Statuti del 1448 del comune e della curia di Longiano citano, nel Divieto di tagliare gli alberi domestici e selvatici:

“nessun residente o forestiero può tagliare alberi fruttiferi o infruttiferi nei poderi altrui. Il danneggiante…venendo scoperto in flagranza, va catturato, detenuto e condannato a risarcire il proprietario di una pena di dieci lire se ha tagliato o bruciato un olivo…“*

*Fonte: O. DeLucca – E. Tosi Brandi – Longiano ed i suoi statuti – Pazzini Editore, 2003